(Divorando
le annate giornalistiche tra il 1943 e il 1945 sono incappato in una vicenda
che ignoravo e che mi ha incuriosito molto. Ho potuto ricostruirla anche grazie
al materiale trovato in soffitta. La propongo a puntate, come sequenza di
suggestioni e senza alcuna pretesa di ricerca storica)
E’ il 10 dicembre 1943. All’ora
del tramonto quattro uomini s’incontrano all’ingresso di un orto vicino a Santa
Maria. Portano i fucili ma non intendono usarli. Mario Pinna ha 32 anni, con
lui ci sono il fratello Francesco e gli amici Giovanni Casu e Antonio Carlotti.
Curano a mezzadria un terreno del Dopolavoro ferroviario e sono pronti ad
affrontare al freddo una delle notti più lunghe dell’anno. Da alcuni giorni
qualcuno spoglia i loro alberi di arance: va bene la guerra, va bene la fame,
ma la beneficenza deve finire. Se il ladruncolo si presenterà all’appuntamento
notturno, spareranno un colpo in aria giusto per ricordare che in questo
anomalo Quarantatrè almeno la vecchia legge del più forte non è stata abrogata.
Con il tramonto è scattato l’oscuramento,
Sassari si è nascosta, fra un po’ bisognerà guardare con le orecchie. Prima di
arrivare al cancello dell’orto i quattro uomini prendono le misure a un
militare armato che gironzola vicino ai binari della ferrovia.
Inizia la guardia. I fratelli si
dividono: Mario va con Antonio Carlotti, Francesco con Giovanni Casu. I primi
due aspettano in mezzo al campo, gli altri girano come in ronda, almeno i piedi
non si congelano. C’è molto umido. Verso le 10 Mario Pinna sente un rumore di rami
spezzati.
I due uomini puntano un’ombra nel
buio a una dozzina di metri. Stringono i fucili ma non fanno in tempo a
puntarli verso il cielo. Lo sconosciuto, armato anche lui, non si perde in
ragionamenti, non aspetta l’inizio della schermaglia. Prende il fucile e lo
punta verso Mario Pinna. Preme il grilletto. Il giovane non ha altri attimi a
disposizione: giusto il tempo di sentire un forte bruciore in mezzo al petto
che è già un cadavere che cade. Lo sparo stordisce Carlotti: vede l’amico
crollare, pasticcia con il fucile, perde tempo prezioso. La seconda fucilata lo
trapassa nella coscia. Carlotti si rotola in terra e grida. Lo sconosciuto si
appiattisce e aspetta, gli altri due mezzadri sono lontani, i loro passi
affannati arrivano distanti dal confine del predio. Lo sconosciuto allora si
alza e si allontana senza correre.
Arriva Francesco Pinna, si
dispera alla vista del fratello morto. Giovanni Casu corre verso Santa Maria,
si incarica di chiamare aiuto, cerca i carabinieri e il medico per Carlotti che
continua a perdere sangue e si dimena nella terra bagnata. Giungono quattro
carabinieri, due caricano Carlotti e lo portano all’ospedale civile. Il
maresciallo Cosio, che comanda la stazione dell’Arma, e il brigadiere Lolli
sono imbarazzati ma risoluti: nessuno può toccare o spostare il corpo di Mario
Pinna finché non arriva il giudice istruttore, e il giudice istruttore non si
muoverà certo a quest’ora della notte. Ci dispiace. L’uomo di legge arriva di
buon mattino quando il sole ha già spianato le ombre spaventose di quella
notte. Poi va all’ospedale e interroga Carlotti, che se la caverà con venti
giorni di cure. Il guardiano ferito ricorda l’essenziale di quello sconosciuto:
forse è lo stesso che al tramonto ciondolava sui binari. Di sicuro era uno che
indossava un cappotto militare.
Ma
è un dettaglio che di questi tempi appare insignificante. (1- continua)