In basso a sinistra l'allora sede del comando alleato |
Quando sono arrivati dal cielo non hanno trovato Sassari. Quando sono arrivati da terra non hanno trovato i sassaresi. Con gli americani abbiamo giocato a nascondino ma al momento opportuno ci siamo fatti riconoscere.
Nel 1943 gli alleati provarono tre volte a bombardare la città, ma il maltempo e altri imprevisti li costrinsero a una miracolosa inversione a U. Una volta ho sentito con le mie orecchie un parroco dire che la Madonna aveva voluto più bene ai sassaresi che ai cagliaritani, alla faccia di Sant’Efisio (questo lo aggiungo io). È così anche nella Processione del voto riusciamo a essere campanilisti.
Come ho già raccontato, una volta diventati amici gli americani entrarono a Sassari tra l’indifferenza generale, perché il quotidiano annunciò la data sbagliata e nessuno accorse in strada a salutare i "salvatori". Ma gli uomini di Roosevelt si mostrarono subito generosi. In una città un po’ affamata, gli alleati si facevano in quattro mettendo a disposizione materiale farmaceutico, latte in polvere e materiale di ogni genere. Certo, qualche volta si lasciavano coinvolgere in risse da bar (censurate dalla stampa ma raccolte da chi informava il comando alleato), ma questa disponibilità non fu sempre ricambiata. A mortificare i sassaresi ci pensarono due categorie di guastafeste: i ladruncoli su commissione che spogliavano le automobili a stelle e strisce e gli anziani scrocconi che assillavano gli yankees per ottenere sigarette. Non fatico a immaginare i personaggi.
Il quotidiano L’Isola attaccò i concittadini cafoni con malcelato imbarazzo, smentendo involontariamente il quadretto dipinto mesi prima quando aveva scritto che «fra gli americani e noi esistono innegabili differenze di sangue, di cultura e di civiltà; la nostra civiltà è più raffinata e profonda, la loro più agile, più pratica e più moderna». Ora il giornale dovette rettificare: i sassaresi avevano più senso pratico.