mercoledì 26 giugno 2013

Piazza Mercato nero: Giuannedda e il Brigadiere

Affari in piazza Tola


Solo nel giugno del 1944 nel Sassarese vennero denunciate 262 persone per reati annonari, 782 per borsa nera; 16 finirono in manette. Il fenomeno era talmente rilevante che in Porta Rosello qualcuno si divertì ad attaccare una finta targa toponomastica: “Piazza mercato nero”. La Questura affidò il compito di stroncare i traffici a un esperto, il brigadiere Spano che non faticò a raggiungere dei risultati: all’epoca era normale incorrere in qualche peccatuccio come ritoccare prezzi o vendere merce di nascosto. 

Tanti pesci piccoli e grandi finirono nella rete del brigadiere: in via Brigata Sassari una signora di Tempio venne trovata in possesso di un mezzo maiale di 25 chili, pronto per essere venduto; a casa di un sassarese residente in via San Carlo vennero sequestrati 8 ettolitri di vino, che veniva venduto a 25 lire al litro: valore della merce, 20mila lire. All’emiciclo Garibaldi ci vollero due viaggi di un camion per svuotare un magazzino pieno di ogni ben di dio. Così in viale Trieste, dove l’irruzione in un negozio avviò un’incredibile serie di ritrovamenti a matrioska. Il mercato parallelo si nutriva di ingiustizie. La situazione era talmente insostenibile che una mattina il commissario prefettizio Ignazio Devilla - sindaco di fatto - andò personalmente al mercato delle carni per verificare la presenza di abusi nei prezzi. Il suo intervento fu salutato dall’ovazione della folla.


C’era poi Giuannedda la fruttivendola. La donna, originaria di Bono e titolare di un negozietto in via del Carmine, era abbastanza conosciuta in città. Il suo esercizio non era molto fornito di prodotti, come tutti d’altronde, ma nel retrobottega le cose cambiavano e la merce contrabbandata non veniva venduta a prezzo di favore. Questa signora del mercato nero giocava a nascondino con gli investigatori, riuscendo quasi sempre a farla franca. Venne incastrata per colpa di un bel cesto di meloni. Il brigadiere Spano, che da tempo la teneva sotto controllo, si insospettì per quella cesta. Ogni giorno veniva portata nella bottega, sempre con la stessa frutta. Decise di guardarla da vicino e scoprì che sotto i meloni erano nascosti pezzi di maiale già macellati e pronti a esser venduti al prezzo di 50 o 60 lire al chilo. Giuannedda prese il volo un secondo prima di essere arrestata, ma il suo retrobottega fu chiuso per sempre. Pochi mesi dopo la donna morì improvvisamente, portandosi dietro i segreti del mercato nero sassarese, in una scia di simpatia e rimpianto. (1- continua)

mercoledì 19 giugno 2013

Politici Tarzan nella steppa di Platamona

Dall'archivio del Corriere dell'Isola una strepitosa foto di Salvatore Marras


Per esperienza diretta posso dire che raramente ci si annoia ai sopralluoghi effettuati dai consiglieri comunali. Un po’ perché si esce dal Palazzo (con tutte le implicazioni pratiche e metaforiche del caso), un po’ perché l’atmosfera del pulmino municipale stempera le contrapposizioni politiche e l’aspetto umano prevale sul gioco delle parti. Ecco la storia di un sopralluogo al quale avrei voluto tanto partecipare.

Siamo nell’ottobre del 1950, il sindaco Pieroni procede come un treno verso il coronamento del suo grande sogno, la nascita di Sassari marina. È riuscito in una prima impresa, risparmiare 5 milioni dalla costruzione della strada che collega la Carlo Felice con Platamona. Con quella cifra intende comprare un pezzo di pineta e mettere l’ultimo tassello al progetto. Prima di approvare l’acquisto, i consiglieri comunali chiedono di vedere da vicino la distesa di pini, per votare in piena coscienza. Pochi giorni dopo la visita guidata intorno allo stagno, l’avvocato Attilio Fais della Lista bandiera, in polemica con Pieroni, farà in consiglio comunale uno spassoso resoconto di quel sopralluogo. 

«Noi siamo andati avant’ieri in questa pineta: ci siamo inoltrati in una inestricabile boscaglia, in un ginepraio pieno di spine, sento ancora qualche puntura nel fondo dei pantaloni. Ad un certo momento ci siamo smarriti e ci siamo dovuti chiamare come Tarzan e soltanto le omeriche risate dell'amico assessore professor Marras ci hanno fatto da guida per riunirci al resto della comitiva. Io ho voluto avere la precauzione di accompagnarmi col compagno Polano perché è un conoscitore di steppe ed ho scelto anche la compagnia di questo pittoresco amico cronista seduto al tavolo della stampa che è stato in Africa e in India. Con questi due, che di boscaglie se ne intendono, andrei tranquillamente a caccia della tigre».

Peccato che all'epoca in aula consiliare non ci fossero le telecamere.


Ancora "Foto Marras"

venerdì 7 giugno 2013

«Il Turritania? Come il Colosseo»


1934, piazza Sant'Antonio senza il Turritania ma con un'altra "presenza"


All’Azuni c’era un famoso professore che confermava per cinque anni il voto dato nella primissima interrogazione (nel mio caso un sei e mezzo). Si chiama effetto primacy ed è il peso della prima impressione nel giudizio che formiamo sugli altri. Così è stato per l'Hotel Turritania, il decadente cubo di cemento in fondo a Porta Sant'Antonio: molti sassaresi l’hanno subito guardato storto. Tanto che nel marzo del 1947, a soli tre anni dalla sua parziale elevazione, il babbo dell’opera - l’architetto Vico Mossa - fece un’uscita pubblica per difendere le sorti di quella che all’epoca era un’incompiuta: in città c’era chi chiedeva con vigore l’abbattimento dei due piani realizzati. Il progettista scrisse due fitte pagine per il Corriere dell’isola, spiegando che c’erano poche alternative. Per riassumere il suo punto di vista propongo un immaginario botta e risposta: il fatto che l’opera venne poi completata fa pensare che le argomentazioni di Mossa fecero breccia tra i sassaresi.

Perché si è consentito di costruire un tappo proprio alla fine del Corso?
Il tappo è stato creato a fine Ottocento dalla ferrovia, che ha tagliato in due la strada reale di Porto Torres, provocando la realizzazione di uno scomodo cavalcavia a gomito verso corso Trinità.

Non si poteva lasciare libero lo spazio almeno per salvaguardare il panorama verso il Golfo dell’Asinara?
In realtà non c’era nessun panorama perché il Golfo è visibile solo da pochi punti del Corso; la ferrovia e le brutte case oltre i binari rappresentavano un pessimo fondale. C’era l’esigenza di creare una quinta che chiudesse ordinatamente quello spazio.

Era stata progettata un'altra soluzione?
Il Piano regolatore aveva previsto che un portico girasse intorno alla piazza. Nel mezzo si pensava di realizzare un giardinetto dove collocare la fontana di San Francesco copia di una presente a Milano. Poi il podestà Giacomo Crovetti mi chiese di redigere il progetto per edificare qui la sede dell’Ente comunale di assistenza. Dissi che forse non era la sede migliore per realizzare una struttura a finalità sociale, ma era l’unica grande area libera di proprietà comunale.

Ora si vuole demolire l’edificio poiché l’ente assistenziale non è in grado di completarlo. È d’accordo?
I lavori sono iniziati nell’ottobre del 1942 e sono stati bloccati nel febbraio del 1944. Condivido che la struttura non possa rimanere monca come ora. A meno che non si realizzi il porticato previsto dal piano regolatore, credo sia meglio ultimare l'edificio e dargli un’altra destinazione.

Chi vuole raderlo al suolo sostiene anche che così si ridurrebbe il giro malavitoso che ruota intorno all’area.
In passato qualcuno voleva abbattere il Colosseo con la stessa motivazione: era il ritrovo della malavita romana.

Quindi il tappo deve rimanere.
Per i nostalgici della vecchia strada verso il mare si può costruire al massimo un cavalcavia pedonale prolungando i due vicoli ciechi. Credo che in piazza Sant’Antonio ci siano palazzi molto più indegni di trovarsi all’ingresso della città.