Risalendo nei secoli lungo le radici familiari si corre il rischio di fare scoperte sorprendenti. Tra i miei antenati non ho trovato nessun figlio illegittimo di nobile o nessun famoso bandito (e forse è un peccato). Ma, da amante dei Candelieri, ho sussultato quando ho scoperto di discendere da uno degli autori di un clamoroso boicottaggio alla Faradda.
È il 1848 e c'è un Gremio, quello dei Mercanti, che è più forte degli altri nel quadro dell'asfittica economia cittadina. Questa categoria, formata prevalentemente da rampanti negozianti genovesi, rinuncia a partecipare alla sfilata dando uno schiaffo alle altre corporazioni di arti e mestieri. È un colpo così forte che da quel momento fino all’anno del colera (1855) la processione conoscerà un momento di crisi.
L'episodio è raccontato da Enrico Costa e rappresenta l'apice clamoroso di uno scontro tra questo nuovo ceto e la vecchia classe dirigente cittadina. Si tratta di un passaggio ricco di significati nella nostra storia e fra poco capiremo perché. Pochi anni fa l'Archivio storico comunale ha ritrovato il documento originale di questo "gran rifiuto". Tra i firmatari c'è Giobatta Ottonello, che rappresenta il primo immigrato genovese che posso annoverare tra i miei antenati. Per me è importante perché sarà il suocero di Andrea Carlini, primo tassello di una dinastia il cui DNA oggi è presente in tantissime, e anche note, famiglie sassaresi. Giobatta era nato a Masone (vicino a Genova) nel 1794 e di professione faceva il chiodaio, un mestiere molto diffuso da quelle parti. Si sposò due volte: la prima con Maddalena Macciò, da cui ebbe tre figli, la seconda con Angela Maria Patrone da cui nascerà Annetta, moglie di Andrea Carlini. Grazie a un libretto* stampato a Genova nel 1995, ho scoperto che l'antenato più lontano di Giobatta (e quindi anche mio) era un certo Giovanni Pastorino, nato nel 1592 e morto nel 1682, sempre a Masone.
La famiglia Ottonello ha un curriculum interessante: nei secoli ha fornito alla Chiesa 16 preti e 35 suore. Un paio di Ottonello sono passati alla storia per le loro imprese: Antonio che tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento ha combattuto in mezza Europa e Pietro (1837-1900, forse figlio del nostro Giobatta ma non ho trovato la doppia conferma) che meriterà un po’ di medaglie nel Risorgimento fino alla Legion d’Onore. Ma prima di andare oltre nella storia delle famiglie e Ottonello e Carlini, dobbiamo capire come si è arrivati alla disputa del 1848. Perché c'è di mezzo una svolta decisiva nella storia di Sassari.
A questo punto, se non ci fossero le limitazioni da Covid-19, vi proporrei una bella passeggiata per ammirare gli ultimi esempi di archeologia industriale rimasti intorno al diaframma ferroviario che separa la città dalla zona dei vecchi orti: le Concerie Costa in piazza Santa Maria, lo stabilimento Ardisson in via San Paolo e la ciminiera Carlini in viale Sicilia. Relitti dell’invasione che cambiò Sassari per sempre, quella dei mercanti genovesi.
Sassari e il capoluogo della Liguria si erano già incontrati nel Duecento, quando la nostra città dipendeva dalla repubblica marinara. Ma non fu mai vero amore. E quando nella seconda metà del Settecento, con l’ingresso della Sardegna sotto l’ombrello dei Savoia, ci fu l’arrivo in massa di una nuova generazione di intraprendenti commercianti liguri, la reazione fu di evidente ostilità. In poco tempo questi migranti dal nord monopolizzarono i traffici di olio e pellame, alimentando l’esportazione verso i porti continentali e francesi e animando il commercio con forme e dinamiche mai viste fino ad allora.
Leggete cosa scriveva il Siotto:
Le popolazioni si lamentavano contro lo sgoverno dei Piemontesi; ma Genova era il cancro dell’isola, divenuta colonia di quelli astuti mercanti. In mano loro era il traffico di Sassari, Cagliari e Porto Torres; e, non ché contentarsene, guerra intimavasi alle nostrali industrie. Questo dico in parte nello intendimento di dar colpa agli isolani, i quali, anziché seguire l’esempio, si rammaricavano standosi colle braccia conserte, nella secolare inerzia, a vedere strarricchire gli strani.
Il giornale “L’indipendenza” lanciò una campagna sottolineando come la Sardegna fosse ricca di risorse naturali che non sapeva sfruttare, mentre i genovesi con le loro misure protezioniste imponevano i prezzi alle merci sarde. Quanto assonanze con certe polemiche contemporanee!
Il giornale “L’indipendenza” lanciò una campagna sottolineando come la Sardegna fosse ricca di risorse naturali che non sapeva sfruttare, mentre i genovesi con le loro misure protezioniste imponevano i prezzi alle merci sarde. Quanto assonanze con certe polemiche contemporanee!
Enrico Costa ci racconta che nel 1848 i negozianti più noti di Sassari erano una cinquantina, per la maggior parte genovesi. In città i cognomi liguri erano tutti “pesanti”: Ardisson, Bozzo, Brusco, Calvi, Canepa, Canessa, Costa, Murtula, Ottonello, Tavolara, Zolezzi e diversi altri.
Ma - in una città piccola tutto ritorna - se c’è un simbolo della reazione sarda alla nuova classe mercantile ligure fu la stessa costruzione del Palazzo Ducale, voluto dal Duca dell’Asinara come prova di forza della vecchia classe aristocratica locale. Ma era impossibile mostrare muscoli che non erano più quelli di una volta: alla fine del Settecento furono necessari 40 anni per costruire l’edificio, tanto che il Duca non riuscì ad abitarvi e i discendenti lo godettero per poco, distratti dalla bella vita parigina. Così nella seconda metà dell’Ottocento iniziò a ospitare uffici pubblici e poi il Municipio.
Non solo i genovesi non rimasero particolarmente impressionati dal Palazzo ma presero a comprare e ristrutturare altri edifici della vecchia nobiltà sassarese e a costruirne di nuovi nelle Appendici, la “Sassari Due” in costruzione a Sud-Est oltre il vecchio castello, lungo la strada reale. Dalla parte opposta rispetto a dove stavano costruendo le fabbriche che appestavano l’aria nella parte bassa del centro storico: soprattutto nelle giornate di Maestrale tutto quel trattare pelli e sansa tra Le Conce e Tana di Lu Mazzone diffondeva miasmi irrespirabili nella città vecchia.
Dietro il "gran rifiuto" di Giobatta Ottonello e degli altri genovesi ci fu tutto questo. Ma non era che l'antipasto, perché il Colera rappresentò il passaggio decisivo per imprimere a questa storia una direzione precisa. Apparentemente rallentò l'ascesa economica: in quel fatidico 1855 tra i cinquemila deceduti ci furono anche tanti genovesi. Diversi clan furono spazzati via ma il “cancro” ligure non poteva essere sconfitto: era già pronta una nuova generazione di invasori. E nel mezzo del rimescolamento di proprietà, beni e soldi che seguì a quell’ondata di morte prese il via - anche in questo caso insieme alla miracolosa guarigione di Salvatore Masala di cui ho già scritto - la mia storia familiare. È adesso che compare quell’Andrea Carlini che vediamo spuntare nella memoria archivistica cittadina nella primavera del 1856, quando decide di acquistare dal Comune un lotto delle Appendici, proprio a fianco alla casa del suocero Giobatta Ottonello. Tutto lascia pensare che sia arrivato a Sassari dopo l’epidemia ma non abbiamo certezze, anche perché tra i morti ci fu una Caterina Carlini, di 57 anni. Sicuramente arrivò da solo e affrontò una vita da pendolare: i figli nacquero tutti a Masone.
Ma sarà nella prossima puntata (QUI) che seguiremo le poche briciole lasciate da questo nuovo trafficante genovese, e faremo un salto oltremare per capire meglio chi erano e da dove venivano i Carlini e gli Ottonello.
*Radici antiche e Radici Nuove, cognomi delle famiglie di Masone di padre Pietro Pastorino (Parodi Azienda Grafica & Affini, Genova, 1995).
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