sabato 25 maggio 2013

I sassaresi che si fecero riconoscere dagli americani

In basso a sinistra l'allora sede del comando alleato


Quando sono arrivati dal cielo non hanno trovato Sassari. Quando sono arrivati da terra non hanno trovato i sassaresi. Con gli americani abbiamo giocato a nascondino ma al momento opportuno ci siamo fatti riconoscere. 

Nel 1943 gli alleati provarono tre volte a bombardare la città, ma il maltempo e altri imprevisti li costrinsero a una miracolosa inversione a U. Una volta ho sentito con le mie orecchie un parroco dire che la Madonna aveva voluto più bene ai sassaresi che ai cagliaritani, alla faccia di Sant’Efisio (questo lo aggiungo io). È così anche nella Processione del voto riusciamo a essere campanilisti.

Come ho già raccontato, una volta diventati amici gli americani entrarono a Sassari tra l’indifferenza generale, perché il quotidiano annunciò la data sbagliata e nessuno accorse in strada a salutare i "salvatori". Ma gli uomini di Roosevelt si mostrarono subito generosi. In una città un po’ affamata, gli alleati si facevano in quattro mettendo a disposizione materiale farmaceutico, latte in polvere e materiale di ogni genere. Certo, qualche volta si lasciavano coinvolgere in risse da bar (censurate dalla stampa ma raccolte da chi informava il comando alleato), ma questa disponibilità non fu sempre ricambiata. A mortificare i sassaresi ci pensarono due categorie di guastafeste: i ladruncoli su commissione che spogliavano le automobili a stelle e strisce e gli anziani scrocconi che assillavano gli yankees per ottenere sigarette. Non fatico a immaginare i personaggi.

Il quotidiano L’Isola attaccò i concittadini cafoni con malcelato imbarazzo, smentendo involontariamente il quadretto dipinto mesi prima quando aveva scritto che «fra gli americani e noi esistono innegabili differenze di sangue, di cultura e di civiltà; la nostra civiltà è più raffinata e profonda, la loro più agile, più pratica e più moderna». Ora il giornale dovette rettificare: i sassaresi avevano più senso pratico.

venerdì 17 maggio 2013

Cavalcata sarda, Sassari debutta in società




Con l’entusiasmo dei bambini ammessi al tavolo dei grandi, con l’ansia della prima volta a cena dai suoceri. Sassari fece il suo debutto in società nell’aprile del 1899: a quasi quarant'anni dall’unità d’Italia, il capoluogo si sentì pronto a indossare l’abito buono per presentarsi ai connazionali oltremare. Preparò un bel monumento al padre della patria Vittorio Emanuele II e per inaugurarlo invitò il re Umberto e la regina Margherita, consapevoli che sulla scia dei reali sarebbero arrivati gli unici in grado di consacrare il debutto: i cronisti. Per rendere la visita più spettacolare, i sassaresi rispolverarono una vecchia usanza in voga con i sovrani spagnoli, quella di salutare le autorità con una lunga sfilata di cavalieri e indigeni in costume. E per assistere a questa processione a cavallo, insieme ai giornalisti giunsero anche due eccentrici fratelli francesi che pare facessero muovere le fotografie, Auguste e Louis Lumière. Per l'epoca il massimo della visibilità.

Immaginiamo lo stato d'animo con cui i nostri antenati attesero la pubblicazione del numero della Tribuna illustrata della domenica dedicato all’evento. Non rimasero delusi: sontuosa la copertina a colori e lusinghiera la descrizione della città. I continentali erano rimasti stupiti dal quartiere moderno sorto intorno a piazza d’Italia: «La parte nuova è bellissima, si direbbe di trovarsi in una città ligure o toscana». L’altro lato della medaglia: «Ma vi è la parte vecchia che dovrebbe essere sventrata».

Voto buono anche in condotta: «Sassari è squisitamente ospitale e politicamente educata. Vi è un largo spirito di tolleranza che rende libere e indisturbate tutte le manifestazioni». E poi: «La vita cittadina è abbastanza animata. Vi sono comodi alberghi e caffè, negozi eleganti e ben forniti». Infine, il giudizio sul padrone di casa il sindaco Gaetano Mariotti: «Ingegno versatile, volentieri, fra un discorso sull’arbitrato e una pratica sindacale, ritrae sulla tela una bella testa di donna. È un vero uomo moderno, senza pedanteria, senza odi».

La debuttante aveva passato l’esame. 

Palazzo della Provincia, il letto della regina visto dalla piccola fotografa di casa

lunedì 13 maggio 2013

Alla ricerca della Madonna perduta




Dedicato ai sassaresi che a maggio amano passeggiare verso San Pietro. Forse non tutti sanno che a Sassari la Madonna è chiamata in almeno cinquanta modi diversi. L’ho realizzato leggendo un libriccino scritto nel 1930 da Angelo Piredda, con una minuziosa elencazione di chiese, immagini sacre e simulacri dedicati alla Vergine nella nostra città. Di questo lungo rosario - è il caso di dirlo - mi hanno colpito i titoli e le denominazioni scomparse. E visto che siamo nel mese mariano propongo una caccia alla Madonna perduta, una scusa per passeggiare oltre via delle Croci. In fondo è un classico della devozione, da Noli me tollere alla madonnina spiaggiata a Porto Cervo lo scorso febbraio: nel nostro agro ci sono almeno tre posti nei quali - grazie a un trattore, a bambini che giocano a nascondino o a lavori per condotte - potrebbe riapparire una statuina abbandonata. Per entrare nell’atmosfera proviamo a seguire con la fantasia alcune monache medievali tra sentieri e tratturi nascosti tra i rovi. Ecco dove stanno andando.

Santa Maria di Mascar. Come si intuisce dal nome, si tratta di un monastero di benedettine che tra il 1118 e il 1180 si trovava nella contrada di Mascari nell'omonima vallata. Il complesso dipendeva da San Pietro in Silki e a un certo punto fu guidato da una badessa di nome Teodora. Com’è accaduto ai tanti piccoli villaggi che costellavano l’agro di Sassari, Mascari e il suo monastero vennero abbandonati e inghiottiti dai secoli e dalla vegetazione.

Santa Maria di Taberra. Se ho ben incrociato le fonti, Taberra era una borgata della curatoria di Fluminaria che si trovava nell’attuale Badde Ulumu, nelle vicinanze del viadotto sul Rio Mannu della quattro corsie di Alghero. Piredda racconta che «tristi vicissitudini» costrinsero gli abitanti del villaggio a emigrare verso Sassari. Oggi nella vicina località Zunchini, si trovano testimonianze dei periodi nuragico, romano-imperiale, pisano e genovese: in poche centinaia di metri è possibile osservare nuraghi, strutture murarie, tombe, cisterne e i ruderi della chiesetta di Sant’Antonio di Zunchini. Ma nessuna traccia di monasteri.

Santa Maria di Oriola. Tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo a due passi dal Bar Graziella della Buddi Buddi sorgeva probabilmente il villaggio di Oriola. Oggi la zona si chiama Rodda Quadda (ruota di mulino idraulico nascosta) e ospita una deliziosa e dismessa stazione ferroviaria degli anni Trenta. Qui secondo alcuni storici si trovava un monastero vallombrosano, sebbene nei registri dell'ordine monastico non ne sia rimasta testimonianza. 

Buona ricerca.

domenica 5 maggio 2013

Quando il calcio tornò alla Torres



Tra il Mediterraneo di Gabriele Salvatores e la Fuga per la vittoria di John Huston. Nella giornata in cui lo stadio Vanni Sanna celebra il ritorno in paradiso della Torres, rievoco una partita di 68 anni fa ricca di richiami simbolici.
È il 18 febbraio del 1945, la guerra non è ancora finita e nella relativamente tranquilla Sardegna si corre dietro a un pallone per evocare l’atmosfera dei giorni normali. L’Acquedotto ospita quella che L’Isola definisce «Una delle più attraenti contese calcistiche, se non la più attraente, di tutte quelle svoltesi a Sassari, al campo della Torres». Si scontrano due rappresentative - Sardegna contro Forze armate - ricche di campioni. Il tono risente ancora del codice dei cinegiornali Luce: «Bastano i nomi di Sanna, il plastico portiere ozierese, di Serradimigni, Sciascia, Fiori, Atzeni, Gorini etc. Da una parte, e di Ferrari I, Ferrari II, Renica, Salmoiraghi, Martini, Martelli, Golinelli, etc. I biglietti sono in vendita presso il caffè Abbondio». Già allora si parla di «pubblico delle grandi occasioni».
L’organizzazione della partita è «curata nei minimi particolari dai giovani appassionati componenti della sezione calcio della Torres». Vince la squadra delle Forze armate per uno a zero «dinanzi a una cornice di pubblico enorme». La sfida richiama «come ai bei tempi del calcio sassarese e sardo carovane di sportivi da ogni parte della provincia, perché giocata veramente bene con grande accanimento, con perfetta correttezza e con fine tecnica calcistica».
Si badi alla scelta delle parole: aspettando tempi migliori dopo la guerra, anche una partita di calcio diventa l'occasione per esternare le aspettative sulle qualità degli uomini che dovranno ricostruire l’Italia. «Accanimento», «correttezza» e «fine tecnica»: termini che oggi sembrano perfetti per definire quella generazione.

mercoledì 1 maggio 2013

"Quel rifugio è un letamaio"

L'ingresso del rifugio di piazza Castello


Diciamo che la pulizia non è mai stata il punto forte della nostra città. Aggiungo un episodio alla lunga letteratura sull'argomento, considerato che fra pochi giorni sarà visitabile il rifugio antiaereo di via G.A. Sanna in occasione di Monumenti aperti.
Siamo nella seconda metà del 1944, tempo di spending review bellica, la città è lurida ma esistono dei luoghi dove la mancanza di igiene è insopportabile: le gallerie aperte in fretta e furia per ripararsi dalle incursioni aeree. Un lettore scrive al quotidiano L'Isola: “Gli abitanti del Monte Rosello non scendono nel ricovero di via Pietro Micca: non già perché non si curino del pericolo, ma bensì perché a una morte per asfissia preferiscono quella di una bomba. Almeno è più veloce”. Quel rifugio – aggiunge il cronista – è un vero letamaio ed è senza luce. 

Il disagio tocca anche i cunicoli di Cappuccini e via Saffi: finché c'era il regime ogni buco aveva il suo capetto che ne curava l'apertura, la manutenzione e la pulizia. Adesso bande di ragazzini usano gli ingressi come latrine, e i manovali del mercato nero fregano lampadine, lampade accessorie e cavi elettrici, tutta roba che non si trova facilmente nel mercato legale. Il Comune come al solito allarga le braccia: appena avremo due lire disponibili compreremo i lucchetti per i portoni, speriamo di trovare presto qualcuno che si occupi della custodia e della pulizia. E comunque – dicono in municipio – sarebbe un buon inizio andare a fare i bisogni da un'altra parte. 

Suscita polemiche la costruzione di alcuni rifugi. La terra risucchiata per ottenere i cunicoli viene ammassata nelle strade formando collinette in mezzo ali incroci, e poi che bisogno c’è di costruire nuovi ricoveri se dopo l’8 settembre è diminuito il rischio di bombardamenti? Abbiamo i finanziamenti – rispondono le autorità – e ormai dobbiamo spenderli. Allora perché non si utilizzano quei soldi per rimettere in sesto le strade ridotte in condizioni disgraziate? – risponde l’opinione pubblica.

Avviene un episodio emblematico: i residenti della zona di piazza Fiume si lamentano per i lavori di costruzione del tunnel di fronte all'ospedale civile: ma è proprio necessario far scoppiare le mine di notte? La terra trema, nessuno dorme e giù maledizioni contro il Genio civile. Dopo la bomba vera sulla stazione, per Sassari è l’episodio che più si avvicina all’idea di uno spezzonamento notturno.