giovedì 25 aprile 2013

Tre sassaresi liberati



Reduci in piazza del Comune il 25 aprile del 2011 e 2012


Siccome il 25 aprile è la Festa della liberazione, ecco la storia di tre sassaresi liberati al termine della Seconda guerra mondiale. Ho unito in un'unica sequenza sprazzi di interviste raccolte alle fine degli anni Novanta. Le voci sono quelle di Gaetano Angius, Gigi Rizzi e del signor Giovanni, che non volle dirmi il cognome ma mi raccontò una storia bellissima seduti su una panchina in piazza Azuni. Tutti e tre avevano sperimentato il campo di prigionia e una lunga odissea prima di raggiungere Sassari.

«Ci sentivamo come pacchi postali. I russi ci consegnarono agli inglesi. Questi ci passarono agli americani. Era tutto improvvisato. Sembrava che nessuno avesse le idee chiare su cosa fare di noi».

«Attraversando l’Europa avevo visto dolore, macerie e disperazione. Passato il Tirreno e sbarcato al porto di Olbia trovai uno scenario completamente diverso: ero malridotto e allo stremo delle forze, ma il controllore non voleva farmi salire sul treno poiché non potevo acquistare il biglietto. Insistetti, non credevo che qui si fosse così fuori dal mondo da non capire cosa avessi passato. Mi salvò un viaggiatore che si offrì di pagarmi la corsa».

«Giunsi al porto di Cagliari in uno stato pietoso. Avevo la febbre a quaranta, ero sporco e malvestito. Non mi reggevo in piedi. Dopo essere sceso faticosamente dalla scaletta della nave crollai sulla banchina, a peso morto».

«Non avevo niente con me, neanche una camicia. I miei familiari non mi riconobbero subito. Non avevano mie notizie da ormai molto tempo e pensavano che fossi morto».

«Tornato a casa fui preso dalla smania di mangiare. Ero insaziabile. Passavo le giornate ingurgitando cibo. Era un effetto del lungo digiuno forzato».




«Mio padre fu costretto dal medico di famiglia a non assecondare continuamente il mio appetito, perché dopo tanta fame un eccesso di alimentazione avrebbe potuto creare ulteriori danni».

«A casa ormai non mi aspettava più nessuno. Tra la guerra, la prigionia e i ricoveri per la malattia, sono stato lontano da casa per sette lunghi anni. Ho visto tante persone morirmi intorno. Solo nella baracca dove ero prigioniero, su duecento sopravvivemmo in cinquanta: una strage. A Sassari, mi domandai per molto tempo come avessi fatto a tornare vivo. Mi risposi che ero stato soltanto molto fortunato».




1 commento:

  1. Grazie per la bellezza di questa testimonianza corale. la porto con me alla fine di questo giorno importante. Mi piace molto l'immagine della chiacchierata sulla panchina della preziosa piazza Azuni: mi ha fatto pensare a un racconto alla città intera e al senso vero della libertà conquistata così dolorosamente in quel tempo. Memoria da trasmettere così, chiacchierando per strada, per la libera strada. Grazie.

    RispondiElimina