venerdì 24 aprile 2020

Il notaio/poeta che si beffò del Colera e generò solo figli maschi



Due anni fa, compiendo indagini sui miei antenati lontani, ho scoperto quanto il colera del 1855 sia stato uno spartiacque nella parabola delle famiglie da cui provengo. L'epidemia uccise un quarto dei sassaresi e ne infettò un altro quarto. Ma ci sono due storie in particolare che mi hanno appassionato, quella del notaio e poeta Salvatore Masala e quella del mercante genovese Andrea Carlini, entrambi accomunati dall'avere avuto una discendenza incalcolabile. Visto che anche la nostra generazione si trova nel mezzo di un'epidemia (non paragonabile a quel colera) ho deciso di raccontare a puntate la storia di questi personaggi. 

PRIMA PUNTATA

Gli avevano dato l'estrema unzione perché il contagio sembrava non lasciargli scampo. Quando inaspettatamente tornò alla vita, prese il taccuino e col suo solito stile mise nero su bianco cosa pensava del colera che nel 1855 aveva devastato la sua Sassari: un malanno così terribile non poteva che essere nato dal "troddio di uno zappatore". L'inizio della nuova gobbula del notaio-poeta fece ridere i concittadini. Sono passati 165 anni e il sorriso appare anche sulla mia bocca ma per un altro motivo: se fosse morto per il colera, io non sarei mai nato.


L'autore della poesia dialettale è Salvatore Masala, l'antenato più lontano che ho rintracciato con il mio cognome. Tre anni dopo la sua miracolosa guarigione, nel 1858, gli nacque il figlio che ha dato il via la linea di successione che arriva fino a me. Masala fu un protagonista minore ma ricordato della Sassari dell'epoca. Quando morì, il 14 febbraio del 1900 a 77 anni, La Nuova Sardegna gli dedicò questa nota funebre: 

Nel pomeriggio di ieri ebbero luogo i funerali del notaio Salvatore Masala, assai popolare per il suo carattere schietto e amantissimo della famiglia. Per volontà del defunto nessuna corona fu deposta sul feretro. Intervennero molti notari, avvocati e altri professionisti. Nella chiesa di San Paolo, pronunziò affettuose parole di rimpianto il prof. Carmine Soro Delitala. Condoglianze alla famiglia.


E qui è già nascosta un'informazione che ci fa mettere un piede nella leggenda. Il passaggio chiave dell’articolo è "amantissimo della famiglia", ed è legata a un probabile record stabilito da Salvatore Masala: non tanto legato al numero dei figli (14 o 19 a seconda delle fonti) ma soprattutto perché furono tutti maschi. Un generatore di cromosomi Y, un moltiplicatore di Masala. All'epoca il ruolo di notaio non era accompagnato dal prestigio sociale (e dai reddito) di oggi. Lo storico e scrittore Enrico Costa ci racconta che si tratta di una figura non facile da collocare nella scala sociale. Per accedere a questa professione non era necessario essere laureati ma aver fatto pratica presso qualche altro notaio. A leggere la letteratura dell'epoca sembra venire fuori il quadro di un grigio funzionario confinato nel ceto medio. Quello che rese celebre Salvatore Masala furono le sue gobbule, le tradizionali poesie in vernacolo sassarese. Grazie a queste si meritò una citazione nella monumentale opera di Enrico Costa


Molte persone ebbero in Sassari fama come compositori di Gobbule e fra gli altri il notaio Masala, rinomatissimo

Se conosciamo la sua opera è soprattutto grazie ad Angelo Lobina, un suo discendente che riuscì a scovare le trascrizioni che un figlio di Salvatore, Enrico, fece di diverse poesie del padre.

Rinomatissimo, dunque, scrisse Enrico Costa. E quanto state per leggere ne è una prova, visto che si tratta di parole scritte cinquantaquattro anni dopo la sua morte. Trovai questo articolo per caso, sfogliando le annate del Corriere dell’Isola. Lo firma Nicola Pedde che evidentemente aveva conosciuto Salvatore Masala da ragazzo. E che dopo tanti anni sentiva il bisogno di farlo conoscere ai più giovani. Grazie a questo ricordo, tra le altre cose scopriamo che era un uomo integro, religioso e pignolo sul lavoro. Ma che era conosciuto da tutti per un tratto particolare della personalità. Eccolo: 





Era un originalissimo organizzatore di caratteristiche mascherate;

Autentico sassarese, nato e battezzato nella parrocchia più popolare della città, parlava con semplicità e sempre in dialetto e di questo si serviva nei brindisi leggiadri, nelle gobbule satiriche che lo resero simpaticamente noto e ammirato dentro e fuori delle mura della città;

Autore di componimenti satirici in vernacolo i quali, coi fuochi a ripetizione delle arguzie più saporite, col satireggiare spietato e talvolta impertinente temperato però sempre da una cortese signorile bonarietà sarcastica, mettevano in garbata canzonatura il lato comico delle cose anche se meritassero serio e ponderato rispetto e scoprivano e rivelavano il ridicolo, il grottesco della persona anche se per qualche loro benemerenza godessero simpatia e reputazione.


Per rendere meglio l'idea Pedde racconta questo aneddoto:

Ricordo di avere assistito, giovinetto, a una festa di nozze. L’anfitrione, mescendo i vini più esilaranti, aveva cercato di destare un po’ di buon umore; invano, più che un banchetto di nozze appariva un banchetto funebre. Occorreva, bisognava salvare la situazione e il salvatore, conscio della sua missione, non tardò a comparire col cappello un po’ fuori di carreggiata, col solito bastone a manico di corno, stretto, come un termometro, sotto l’ascella, colla sua grande giacca che non era certo da visita, dalla cui tasca penzolava il lembo di un enorme fazzoletto colorato, di quelli che usano i fiutatori di tabacco. Fu come quando uno, premendo un bottoncino, dà luce a una stanza prima avvolta nel buio. Un coro di gioia, una esplosione di evviva proruppe da tutti i cuori diventati, come per magia, ilari ed espansivi. Il miracolo era stato compiuto e come sempre dal volto sempre ilare e dalla vena inesauribilmente poetica del buon salvatore.

Il notaio che "accendeva le feste" dev'essere stato davvero un bel personaggio. Uno dei discendenti ha stilato un albero genealogico di alcune delle famiglie che possono vantarsi di averlo come antenato. Ma sono di più quelle che sfuggono a questa conta. E non parliamo della seconda generazione. Faccio solo un esempio: il figlio da cui discendo (il mio bisnonno Antonino - nella foto in alto con moglie e figli - nato nel 1858 e morto nel 1935) ebbe 8 figli ma in famiglia si racconta che ce ne furono diversi fuori dal matrimonio. A testimonianza che il destino di Salvatore Masala era quello di sopravvivere al colera per innestare un DNA robusto nell'albero di Sassari. 


La prossima storia

Una calda domenica mattina del settembre 2018 io e mia figlia siamo andati al cimitero monumentale di Sassari alla ricerca della tomba di Salvatore Masala. Una sfida impossibile: dopo quasi 120 anni consideravo difficile che non fossero intervenuti eventi come successioni o espropri. Ci siamo divisi le file e dopo aver passato più di un’ora tra croci, lapidi scrostate, statue e fiori appassiti ci siamo arresi perché il sole diventava sempre più accecante. Prima di andare via ho voluto mostrare alla mia sudata assistente la cappella della famiglia Carlini, da cui discendo per parte paterna e materna.

Arrivando al mausoleo, e cercando un po’ d’ombra, mi sono avvicinato a una parete di loculi. Come aveva fatto negli ultimi novanta minuti, l’occhio ha iniziato a scansionare le lapidi, soffermandosi su una di quelle più sobrie, scolorite e illeggibili. Ma nonostante un secolo e più di esposizione agli agenti atmosferici il risultato era inequivocabile: avevo trovato la tomba di Salvatore Masala e della moglie Domenica Agnesa. Lì, a pochi metri dalla Cappella Carlini. Lì per raccontare, già al primo impatto, due storie profondamente diverse. 
La prima l'avete appena letta, la seconda inizierò a raccontarla dalla prossima puntata.


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